Negli ultimi anni, le aziende di videogiochi hanno sviluppato modelli di business che si basano sempre di più sugli acquisti in-game, incluse le valute di gioco premium. Nel report Getting played – The true cost of virtual currency realizzato da Forbrukerrådet, si legge che 21 dei 50 videogiochi più giocati nel 2023 (il 42%) includono valute premium, ossia valute virtuali, sotto forma gemme, punti o altro, che possono essere acquistate nel gioco o tramite gli app store mediante denaro reale.
Da notare che, di questi giochi, 8 hanno una classificazione per età (PEGI) di 12 anni o inferiore.
L’Organizzazione europea dei Consumatori (BEUC), a cui aderisce anche Adiconsum, ha quindi rilevato che:
- il costo reale degli articoli digitali è spesso poco visibile/chiaro, il che aumenta il rischio di spese eccessive in maniera inconsapevole. Ciò è aggravato altresì dalla frequente necessità di acquistare valuta extra in “pacchetti”;
- le valute premium spesso portano ad una negazione dei diritti dei consumatori;
- non è vero, come sostengono le aziende del settore, che i giocatori preferiscono le valute premium in-game, anzi ritengono inutile la necessità di “conversione”;
- i bambini sono estremamente vulnerabili: i dati mostrano che la loro spesa media in Europa è di 39 euro al mese.
Il BEUC ha quindi presentato denuncia sia alla Commissione europea che alla Rete europea delle Autorità per la tutela dei consumatori (CPC-Network). Si richiede, in particolare, che le aziende del settore dei videogame rispettino le regole e forniscano ai consumatori ambienti di gioco sicuri, che non inducano alla spesa inconsapevole. Gli acquisti in-game dovrebbero sempre essere visualizzati in valuta reale (euro), o almeno dovrebbero mostrarne l’equivalenza.
Va segnalato che le problematiche in questione non riguardano soltanto i videogiochi, ma anche, più in generale, i marketplace digitali (ad esempio, quelli presenti sui più diffusi social network).